ANTROPICA LA CAUSA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Riuscire a districarsi tra la moltitudine di notizie che ci sono riguardanti il cambiamento climatico è più che mai un’impresa ardua.
Tra realtà e Narrazione
Il cambiamento climatico fa molto discutere. C’è chi dice che la temperatura della terra non è mai stata così alta e chi invece afferma che negli ultimi anni si sono registrate temperature decisamente sotto la media; alcuni sostengono che il clima sta subendo le conseguenze della follia antropica altri si avvalorano della teoria dei cambiamenti geologici.
Insomma, una giungla di notizie, tra chi sostiene l’imminente venuta della fine del mondo causa azione antropica e chi perpetra l’idea delle innumerevoli bufale mediatiche.
E come insegnavano gli antichi saggi (magari averne qualcuno al giorno d’oggi) la verità si trova quasi sempre a metà strada!
Purtroppo, per cercare di avvalorare la propria tesi, si tende ad argomentare in favore del proprio pensiero, senza soffermarsi a considerare e valutare quella degli altri.
“ Ogni essere umano vuole vedere riconosciuta davanti agli altri la propria superiorità e poiché tutti vogliono la stessa cosa il conflitto è inevitabile.” Cit. HEGEL
La Sesta Estinzione di Massa
Tra gli innumerevoli documenti riguardanti il cambiamento climatico, fino a qualche tempo fa, la parola chiave ricorrente era “MITIGAZIONE”, negli ultimi tempi è stato sostituito da un altro termine, che lascia ben meno speranze, “ADATTABILITA’”.
Questo vuole sottolineare che il tempo in cui avremmo potuto migliorare le cose, per una sostenibilità’ tollerabile, è quasi giunto al termine.
Se tanto abbiamo fatto per cambiare la condizione climatica, e conseguentemente la biologia e l’ecosistema terrestre, ora dovremo essere noi ad adattarci al problema che abbiamo creato.
Gli studi sulle conseguenze dell’attività antropica, fortemente invasivo, parlano della possibilità di una sesta estinzione .
Ma che cosa si intende per estinzione di massa?
Chiamata anche “transazione biotica”, è un periodo geologico relativamente breve dove l’intero ecosistema subisce un drastico cambiamento con la conseguente scomparsa della maggior parte degli esseri viventi.
Le 5 principali estinzioni sono state:
- Ordoviciano-Siluriano 450 ml. di anni fa;
- Devoniano Superiore 375 ml. di anni fa;
- Permiano-Triassico 250 ml. di anni fa, dove scomparirono il 96% delle specie marine e il 50% delle famigli di animali terrestri;
- Triassico-Giurassico 200 ml. di anni fa, qui la temperatura salì di 5° Celsius e si estinse il 76% delle specie viventi;
- Cretaceo-Paleocene 65 ml. di anni fa, la nota estinzione dei dinosauri e del 75% delle specie.
Uno studio prodotto da Edward O. Wilson e Niles Eldredge, condotto circa un ventennio fa, denota come la repentina scomparsa delle specie viventi, causate dall’uomo, ci stia portando verso l’ennesima estinzione, denunciando la scomparsa del 35-44% delle specie negli ultimi 500 anni, cifra destinata ad aumentare fino al 50-60% entro la fine del secolo.
Le cause di questa progressiva catastrofe sono 6 e tutte collegate tra loro: la deforestazione, l’inserimento di specie invasive, la crescita demografica, l’inquinamento, la caccia e la pesca e, ultimo ma solo cronologicamente, il cambiamento climatico.
E L’UOMO?….
Il 15 Ottobre del 2017 uscì sulla rivista scientifica “ONE EARTH” uno studio condotto da una squadra di ricercatori internazionali, provenienti dalle università inglesi e brasiliane, tra cui Luigi Maiorano del dipartimento di Biologia e Biotecnologie “Charles Darwin”, da cui si evince che il cambiamento climatico fu la causa dell’estinzione di 3 specie di ominidi:
- Homo Erectus;
- Homo Heidelbergensis;
- Homo Neanderthalensis.
Sono passati 4 anni da quella scoperta e il dubbio che potremmo essere noi i prossimi a cadere vittime di un intenso cambio delle temperature non sembrerebbe essersi mai palesato… non male per qualcuno che si è attribuito il doppio aggettivo di Sapiens!
Ma la differenza tragico-comica, tra le estinzioni avvenute nel passato e questa, è che saremo noi gli artefici della nostra stessa scomparsa.
Un Allarme Dal IPCC
Un campanello d’allarme ha iniziato a suonare dopo l’ultimo rapporto dell’ IPCC.
L’IPCC (Intergovermental Panel on Climate Change) è un organo creato dall’ONU con lo scopo di monitorare il cambiamento climatico e comprende 195 Paesi membri.
Le proiezioni fatte sono frutto di un sofisticato programma internazionale chiamato CMIP6 (Coupled Model Intercomparison Project Phase 6) nel quale vengono inseriti i dati provenienti da Istituti di Ricerca, Laboratori e Università, questi vengono poi condivisi a beneficio di proiezioni sempre più dettagliate e verosimili.
Ma che cosa dice, indefinitiva, l’ultimo rapporto dell’IPCC?
In breve, analizzando la situazione dell’innalzamento delle temperature, fornisce dati in cui si stima che la fatidica soglia dell’aumento di 1.5-2°C è imminente, se non ci saranno riduzioni drastiche e immediate di emissioni di gas serra su larga scala. Il rapporto evidenzia come le attività antropiche siano la causa di 1.1°C di riscaldamento rispetto al periodo1850-1900, così facendo si arriverà a 1.5°C nei prossimi 20 anni.
La co-presidente del gruppo di lavoro 1 dichiara:
“Questo rapporto è un riscontro oggettivo. Ora abbiamo un quadro molto più chiaro del clima passato, presente e futuro, che è essenziale per capire dove siamo diretti, cosa si può fare e come ci possiamo preparare.”
Il cambiamento climatico sta già portando dei cambiamenti, che continueranno a progredire con il suo aumento. Ci sono variazioni nel tasso di umidità, nei venti, nella neve e nel ghiaccio, nelle aree costiere e negli oceani.
Il cambiamento del clima si riversa, ovviamente, anche sul paesaggio, cambiandolo e, a volte, rendendolo inospitale per le specie che lo abitano. Questo sta portando ad una vera e propria migrazione della fauna selvatica verso le zone urbane. E quindi si cominciano a vedere falchi, volpi, lupi e aironi in prossimità delle nostre città italiane, lontre e coyote in quelle statunitensi e i babbuini irrompono sempre più spesso nelle città del sud Africa.
Il futuro che i aspetta
Un articolo pubblicato su “BIO SCIENCE” vol.17 N°2 di Febbraio 2021 pag. 148-160, denota come, nei prossimi decenni, con l’aumento dell’urbanizzazione e l’impatto dei cambiamenti climatici sulla biodiversità, avremo bisogno che le città contribuiscano e sostengano la conservazione della biodiversità globale. L’urbanizzazione, modificando ulteriormente il paesaggio fisico e il clima, intensificherà le differenze tra città e ambiente circostante (Grimm et al 2008, Pickett et al 2011, Kaushal et al 2014).
Anche le comunità vegetali e animali sono alterate: le città tendono ad avere un numero maggiore di specie non autoctone e sono spesso dominate da specie tolleranti l’urbanizzazione o sinantropiche (Faeth et al 2011). Le nuove specie risultanti alterano le strutture trofiche e fenologiche, il che potrebbe ridurre le risorse disponibili.
Le condizioni uniche riscontrate in città hanno una varietà d’impatti specie-specifici che vanno da negativo a neutro a positivo, secondo le caratteristiche (Evans et al 2011, Sol et al 2014). Le prove suggeriscono che l’urbanizzazione sia un netto negativo per la biodiversità, nonostante qualche specie riesca ad adattarsi al nuovo habitat (Johnson e Munshi-South 2017).
“E’ chiaro da decenni che il clima della terra stia cambiando, e il ruolo dell’influenza umana sul sistema climatico è indiscusso.” Ha detto Masson-Delmotte.
Alcuni dati ad esempio.
In epoca preindustriale il tasso di
- Anidride Carbonica era di 278 ppm (particelle per milione);
- Metano 750 ppb (particelle per miliardo)
- Perossido di Azoto 280 ppb.
- Nel 2019 i dati sono notevolmente aumentati:
- Anidride Carbonica 410 ppm;
- Metano 1186 ppb;
- Perossido di azoto 332 ppb.
Concludendo…
Cercando di non avere una visione troppo catastrofista e mantenendo una certa obbiettività assieme ad una buona dose di speranza, si potrebbe dire che non tutto è perduto. La salvezza può avvenire grazie ad una collaborazione sinergica tra ecologia e tecnologia, iniziando ad utilizzare le nostre capacità ed il nostro intelletto per la salvaguardia del pianeta, piuttosto che per il nostro egoistico tornaconto. Per far sì che ciò possa avvenire dovremo riconsiderare l’idea di limite, non pensandolo come ad un fallimento con un accezione negativa ma come ad una nuova consapevolezza della nostra condizione di esseri umani.
“I confini della specie, là dove gli uomini li stabiliscono, sono fatti solo dagli uomini.” John Locke, Saggio sull’intelletto umano
Roberta Sevà
Milano, 02/09/2021 – GC