LE AUTO DI LUSSO CHE BRUCIANO L’AMAZZONIA
Pelle per auto una passione americana che distrugge la foresta amazzonica
Dalle auto di lusso alla deforestazione dell’Amazzonia
La passione degli Stati Uniti per le auto di lusso con rivestimenti in pelle sta letteralmente distruggendo la foresta Amazzonica.
Negli Stati Uniti, infatti, gran parte della domanda di pelle proviene proprio dalle case automobilistiche.
La pelle é utilizzata per i sedili di SUV, pick up ed altri veicoli di lusso.
Ma qual’è il legame tra la domanda di pelle proveniente dalle case automobilistiche e la deforestazione illegale dell’Amazzonia?
Una lunga ed interessante inchiesta del New York Times fa luce sul commercio di pelle brasiliana e sulle scappatoie che consentono all’industria brasiliana degli allevamenti di bestiame, in rapida espansione, di vendere non solo carne, ma anche pelle di bovini allevati su terreni dell’Amazzonia illegalmente deforestati.
A caccia di allevamenti illegali
Per seguire il commercio globale di pelle dai ranch illegali della foresta pluviale brasiliana fino ai sedili dei veicoli americani, il New York Times ha intervistato allevatori, commercianti, pubblici ministeri e funzionari e ha visitato concerie, ranch e altre strutture in Brasile.
Il New York Times ha parlato con tutte le persone coinvolte nel commercio illecito di pelle nella Riserva di Jaci-Paraná, un’area dello Stato di Rondônia a cui sono state garantite protezioni speciali perché ospita comunità di persone che, per generazioni, hanno vissuto lì sopravvivendo con i frutti della terra.
Queste comunità vengono ora cacciate dagli allevatori i quali vogliono la terra per allevare il bestiame.
Nell’ultimo decennio, gli allevatori hanno notevolmente ampliato la loro presenza nella riserva. Secondo i dati forniti dall’agenzia statale per l’ambiente, ad oggi circa il 56% della riserva è stata rasa al suolo.
Il report del New York Times si basa anche sull’analisi dei dati aziendali, del commercio internazionale in diversi paesi e su migliaia di certificati di trasporto di bestiame emessi dal governo brasiliano. Tutti questi dati raccolti hanno consentito il tracciamento della pelle dagli allevamenti illegali ai macelli gestiti dai tre più grandi produttori di carne del Brasile – JBS, Marfrig e Minerva – e da lì fino alle concerie.
JBS si definisce la più grande azienda di lavorazione della pelle al mondo.
Un caso per tutti
Brasile. Odilon Caetano Felipe, allevatore di bestiame, ha ammesso esplicitamente di aver abbattuto illegalmente la fitta foresta amazzonica per ottenere la terra senza dover pagare. Ha anche ammesso di aver venduto il bestiame utilizzando un intermediario per far sì che gli animali risultassero provenire da un ranch legale.
Il ranch del signor Felipe è uno degli oltre 600 ranch che operano nella Riserva ambientale protetta Jaci-Paraná.
La procedura utilizzata da Felipe è la stessa utilizzata da tanti altri allevatori brasiliani.
Le indagini dei pubblici ministeri
Secondo Aidee Maria Moser, un pubblico ministero in pensione che ha trascorso quasi due decenni a combattere l’allevamento illegale nella riserva di Jaci-Paraná, la pratica di vendere animali allevati nella riserva a intermediari suggerisce l’intento di nascondere la loro origine. “È un modo per dare una patina di legalità al bestiame”, ha detto, “così i mattatoi possono negare che ci sia qualcosa di illegale”.
Il problema non è limitato a Rondônia. Il mese scorso, una verifica condotta dai pubblici ministeri nel vicino stato del Pará, sede del secondo allevamento di bestiame più grande dell’Amazzonia, ha scoperto che JBS, tra gennaio 2018 e giugno 2019, aveva acquistato 301.000 animali (pari al 32% dei suoi acquisti nello stato) da allevamenti che hanno violato gli impegni per prevenire la deforestazione illegale.
In risposta, JBS ha accettato di migliorare il proprio sistema di monitoraggio, di bloccare i fornitori segnalati e di donare 900.000 dollari allo stato.
La scoperta del New York Times
Il New York Times ha scoperto che quasi tre quarti dei ranch da cui si rifornisce JBS si trovano su terreni che il governo classifica come deforestati illegalmente, come terra indigena o come zona di conservazione.
JBS ha ammesso quanto scoperto dal New York Times, ma ha dichiarato che al momento dell’acquisto del bestiame tutti i ranch da cui ha acquistato erano conformi alle regole per prevenire la deforestazione.
Infine, in una dichiarazione, JBS ha affermato di aver mantenuto per oltre un decennio un sistema di monitoraggio per verificare la conformità dei fornitori alla sua politica ambientale. “Più di 14.000 fornitori sono stati bloccati per mancato rispetto di questa politica”, ha affermato JBS. Tuttavia, ha dichiarato la società, “la grande sfida per JBS, e per la filiera dei bovini da carne in generale, è monitorare i fornitori dei suoi fornitori, poiché la società non ha informazioni su di loro”.
Amazzonia, tra carne bovina e pelle
L’Amazzonia è uno dei principali fornitori mondiali di carne bovina ai paesi asiatici.
Ed é anche uno dei principali fornitori di pelle alle case automobilistiche di lusso.
Si stima che un veicolo di lusso delle più grandi case automobilistiche del mondo, tra cui General Motors, Ford e Volkswagen possa richiedere una dozzina di pelli o anche più.
La fame globale di pelle a prezzi accessibili ha dato vita ad un redditizio mercato internazionale di pelle valutato in centinaia di miliardi di dollari all’anno.
Deforestazione
Mentre gli allevatori si danno da fare per soddisfare la crescente domanda di carne bovina (soprattutto in Cina), la deforestazione in Amazzonia aumenta. E ciò nonostante sia ben noto il ruolo fondamentale dell’Amazzonia quanto a biodiversità e cambiamento climatico.
I rappresentanti dell’industria della pelle dal canto loro sottolineano di utilizzare pelle che è scarto dell’industria della carne bovina, ossia pelle che altrimenti verrebbe inviata alle discariche.
L’Amazzonia, nel frattempo, sta perdendo la sua capacità di assorbire l’anidride carbonica.
Tra l’altro il Brasile è stata una delle oltre 100 nazioni che al recente vertice sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow si sono impegnate a porre fine alla deforestazione entro il 2030.
Sebbene la maggior parte dei ranch nella regione amazzonica non sia collegata alla deforestazione illegale, i risultati delle indagini del New York Times mostrano come la pelle illegale stia entrando nella catena di approvvigionamento globale, aggirando un sistema che gli stessi macelli e aziende di pelletteria hanno creato negli ultimi anni per cercare di dimostrare che i loro bovini provengono solo da ranch legittimi.
Il commercio di pelle mostra anche come le abitudini di acquisto della parte ricca del mondo siano legate allo sfruttamento e al degrado ambientale dei paesi in via di sviluppo.
Movimenti illeciti di bestiame
Nel complesso, un’analisi dei dati del governo sui movimenti di bestiame a Jaci-Paraná e nelle aree vicine tra il 2018 e il 2021, ha identificato 124 transazioni che, secondo gli esperti, conducono al riciclaggio di bestiame.
Le transazioni mostrano infatti che almeno 5.600 bovini sono stati trasferiti dagli allevamenti della riserva a intermediari che, nello stesso giorno, hanno venduto i bovini ai tre principali macelli.
Una vittoria per gli allevatori illegali
Lo scorso maggio, gli allevatori illegali di Jaci-Paraná hanno ottenuto una grande vittoria. Il governatore di Rondônia ha ridotto per legge le dimensioni della riserva Jaci-Paraná del 90%.
La legge, contro la quale i pubblici ministeri stanno combattendo in tribunale, apre la strada agli allevatori per legalizzare le loro attività su terreni deforestati illegalmente. Coloro che hanno espresso critiche alla legge hanno affermato che essa potrebbe costituire un precedente per un’ulteriore deforestazione in altre riserve protette.
Pelle in viaggio verso il Messico
I dati del commercio internazionale hanno mostrato che le aziende di concerie spediscono la pelle conciata in Messico.
La maggior parte delle spedizioni di pelle della stessa JBS viaggia da San Paolo in Brasile a Houston in Texas. E da lì in Messico, con destinazione Lear, un importante produttore di sedili per auto di lusso che gestisce due dozzine di fabbriche in cui i lavoratori tagliano e cuciono la pelle per farne fodere per sedili.
Nel 2018 Lear ha affermato che all’epoca circa il 70% della pelle grezza di cui si riforniva proveniva dal Brasile. La pelle brasiliana viaggia anche verso altri paesi, tra cui Italia, Vietnam e Cina, per essere utilizzate nell’industria automobilistica, della moda e dell’arredamento.
Lear sostiene di aver utilizzato “un solido processo di approvvigionamento” che ha garantito il funzionamento “con i fornitori più capaci e avanzati che si impegnano ad acquistare pelle da bovini allevati in fattorie conformi”.
E le case automobilistiche cosa dicono?
General Motors ha affermato di aspettarsi che i fornitori “rispettino leggi, regolamenti e agiscano in modo coerente con i principi e i valori” della casa automobilistica. Ford ha affermato di aspirare “a procurarsi solo materie prime prodotte in modo responsabile”. E Volkswagen che i suoi fornitori hanno già aderito a un alto livello di sostenibilità.
Buoni propositi: basteranno?
Come parte in causa, le concerie si affidano ad un’organizzazione finanziata dal settore, il Leather Working Group, per certificare la loro conformità. Il gruppo ha assegnato il suo punteggio massimo, “oro”, a tutte le concerie con sede in Amazzonia che forniscono pelle a Lear per auto di lusso, a significare che aderiscono a pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale.
In una dichiarazione, il Leather Working Group ha affermato che sta lavorando per migliorare i suoi protocolli di tracciabilità, ma che “a causa della complessità dei sistemi agricoli in Brasile e della mancanza di database pubblicamente disponibili, purtroppo non esiste ancora una soluzione facile per questa situazione”.
Da parte loro JBS, Marfrig e Minerva si sono pubblicamente impegnate a migliorare il monitoraggio dei ranch che vendono bestiame ai loro fornitori diretti.
JBS ha affermato che traccerà un livello di fornitori indiretti entro il 2025. Marfrig ha promesso di tracciare tutti i suoi fornitori indiretti in Amazzonia entro il 2025 e Minerva ha affermato che avrà catene di approvvigionamento completamente tracciabili in Sud America entro il 2030.
Ma intanto l’Amazzonia continua a bruciare.
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Milano, 13/12/2021 – GC