SEASPIRACY: LE VERITA’ NASCOSTE DELLA PESCA
SEASPIRACY è Il documentario di Ali Tabrizi, firmato Netflix, che porta sul piccolo schermo, alla mercè di tutti, le verità che si nascondono dietro l’industria della pesca legale ed illegale.
Il documentario, diretto dagli stessi produttori del controverso Cowspiracy, scava nel vasto mare delle associazioni, delle attività di pesca e dei clienti che costituiscono l’industria ittica dal valore di quasi 10 miliardi di dollari.
Quando ha deciso di girare un documentario sulla vita marina, Ali Tabrizi non aveva idea di quali segreti avrebbe scoperto. Appassionato di animali marini, Ali ha sempre fatto il possibile per proteggerli. Quando è stato messo davanti alla cruda verità che decine e decine di balene vengono ritrovate morte sulla riva degli oceani a causa della plastica, si è rimboccato le maniche ed ha fatto quello che importanti aziende per la salvaguardia dell’ambiente ci dicono di voler fare.
Quello che, però, doveva essere un film documentario sull’inquinamento causato dalla plastica si è via via trasformato in qualcosa di molto più oscuro e inquietante. La narrazione, inizialmente concentrata sulla salvaguardia dell’ambiente attraverso la raccolta da parte di Ali di sacchi di plastica sulle spiagge e di chiamate alle multinazionali per invitarle ad eliminare le cannucce di plastica, assume un risvolto cruento.
Ci vengono infatti mostrate immagini molto forti. Come quelle girate a Taiji in Giappone, dove i delfini vengono massacrati in massa perché considerati una minaccia da parte dei pescatori in quanto “consumerebbero troppo pesce”. O video girati ad Hong Kong, dove gli squali vengono privati delle loro pinne per preparare costose zuppe vendute in tutta la Cina.
Il film prende una piega ancora più sinistra quando si focalizza sulla potente influenza dell’industria della pesca commerciale sulle organizzazioni ed associazioni ambientaliste internazionali, di cui Tabrizi stesso si fidava ciecamente.
“Siamo in guerra con gli oceani e, se vinciamo questa guerra, perderemo tutto perché l’umanità non è in grado di vivere su questo pianeta con gli oceani privi di vita“. Cit. Ali Tabrizi
I bollini delle associazioni ambientaliste vengono scoperti essere un business senza fondamento e senza fondo. Nel docufilm si punta l’indice contro i presunti finanziatori di queste associazioni che, però, rappresentano l’industria della pesca e della lavorazione ittica. Impossibile infatti non notare come gli intervistati, in rappresentanza delle associazioni, facciano una pessima figura.
Ali arriva così a capire che gli interessi economici del settore ittico sono troppo elevati per non anteporli a questioni etiche e a preoccupazioni ecologiche. Le enormi reti a strascico devastano i fondali marini e, abbandonate nei mari, diventano una delle cause principali dell’inquinamento acquatico, circa il 50% della plastica in mare è dovuta alle reti e altro materiale utilizzato nella pesca.
Ali prosegue poi con un altro lato oscuro, e ai più sconosciuto, dell’attività ittica e si fa testimone di una delle parti più scioccanti del documentario raccogliendo le accuse secondo cui gran parte dell’industria dei gamberetti si affida a pescatori del sud-est asiatico ridotti in schiavitù.
Sono racconti fatti in prima persona da ex schiavi. Ripresi in forma anonima, i pescatori thailandesi raccontano di essere stati trattenuti contro la loro volontà su barche da pesca per un periodo fino a dieci anni. Sono stati picchiati, schizzati con acqua bollente, minacciati e hanno spesso visto gettare in mare i loro compagni.
Un uomo dice chiaramente alla telecamera: “Gran parte del pesce che consumiamo oggi proviene dalla schiavitù, dal lavoro forzato.”
Dopo aver visto in Seaspiracy le immagini girate durante una battuta di pesca di salmone in Scozia o dopo aver ascoltato gli schiavi thailandesi costretti a lavorare in mare, sarà difficile anche per gli onnivori lanciare allegramente confezioni di pesce fresco o in scatola in un carrello del supermercato.
Federica Ancora
Milano, 29/03/2021 – GC
Foto: Pagina FB Seaspiracy – playblog