L’ULTIMO PIANTO DI ASTICI E ARAGOSTE.
Le aragoste divennero parte dell’haute cuisine nel XVII attraverso le abitudini delle famiglie aristocratiche d’Europa e in tutto il mondo le aragoste vengono bollite vive perché, secondo una convinzione tanto orrenda quanto diffusa, la loro carne rimane così più saporita.
Addirittura, alcuni biologi marini ritengono che questi crostacei non sentano dolore perché non hanno un sistema nervoso sviluppato.
L’aragosta o astice prova dolore. Lo confermano gli scienziati, chiedendo più tutela per questi esseri viventi.
Ma dove trovare il coraggio di catturarle e metterle in pentola? E quel fischio di dolore che emettono, è davvero il pianto della creatura gettata nell’acqua bollente? Il suono che fa rabbrividire è il fischio del vapore che fuoriesce dalla corazza… dicono… ma nel 2013 alcuni studi hanno dimostrato che i movimenti dell’aragosta, abitualmente considerati riflessi e automatici, sarebbero invece espressioni di sofferenza.
Lo Chef Massimo Del Canale dice: “Ho sempre stordito astici e aragoste, è insopportabile sentire quel verso che emettono e immergerle vive in acqua bollente ne peggiora la polpa, specie nelle chele. Insomma, la carne in generale è più buona se non si crea stress nell’animale”.
Ma quindi qual è la verità? Non dicevano il contrario?
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I veterinari della British Veterinary Association chiedono di stordire gli animali e non bollirli vivi; ciò succede già in molti paesi come Svizzera, Norvegia, Austria e Nuova Zelanda, in Italia, invece, no!!!
Ora vi racconto una mia esperienza personale:
Avevo circa 25 anni e lavoravo come receptionist in un Club sportivo dove c’era anche un ristorante che si vantava di cucinare il meglio della cucina italiana ed internazionale.
Un giorno, uscendo dalla segreteria, passai dalle cucine per consegnare un pacco, aprii la porta e mi pietrificai nel vedere e nell’udire quanto stava accadendo.
Vidi il sous-chef, un uomo di 1 metro e 90 cm per 100 kg, appoggiarsi con tutte le forze, sul coperchio del pentolone in ebollizione da cui uscivano fischi intensi e intrisi di dolore che trapassavano il timpano, con questo coperchio che sobbalzava con forza e disperazione.
Era la cottura viva delle aragoste.
All’epoca non avevo ancora raggiunto la consapevolezza di oggi, ma decisi che personalmente l’aragosta NON L’AVREI MAI PIÙ MANGIATA.
Che poi… diciamolo fino in fondo…non è meno orribile il tempo di “vita” che precede la bollitura viva in pentola.
Vengono strappate dal mare, ammassate nei camion con le chele legate e cosi ci restano anche nelle vasche cilindriche dei supermercati o negozi ittici, fino all’acquisto e alla bollitura con o senza stordimento.
A mio avviso se qualcuno è vivo, sente!
Sapete cosa possiamo fare tutti insieme? “Non mangiarle”!
“Per quale motivo una forma di dolore primitiva, non verbalizzata, dovrebbe essere meno urgente o scabrosa per la persona che se ne rende complice pagando per il cibo in cui essa risulta?”
DAVID FOSTER WALLACE
AQVAVIVA – Mar 21
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