VOLATILI VELENOSI
Tra le tante curiosità che si possono trovare in natura, pochi sanno che esistono anche i volatili velenosi.
A questo proposito abbiamo trovato un’affascinante ed avventurosa storia sul sito www.lorologiaiomiope.com/.
Gli uccelli di cui si parlerà erano già molto conosciuti fin dalla notte dei tempi grazie ai nativi della zona dove questi volatili prosperano, ma la scoperta della loro velenosità è recente, risale infatti al 1989 ed è stata fatta da un giovane neo laureato dell’università di Chicago: Jack Dumbacher che stava studiando l’ecologia di un uccello del paradiso nel Varirata National Park in Papua Nuova Guinea.
Per fare ciò catturava gli uccelli in grandi rete dove rimanevano ovviamente intrappolati anche altri uccelli, che Jack prontamente liberava.
Un giorno il protagonista della nostra storia stava districando dalle reti uno dei tanti “pitohui incappucciati”, un volatile molto comune, molto colorato e molto puzzolente, tanto da guadagnarsi il soprannome di uccello-immondizia, quando il volatile in questione per difendersi gli beccò e graffiò la mano. Non avendo il tempo di medicarsi Jack si portò la ferita alla bocca per cauterizzarla un po’. Dopo poco gli si intorpidirono labbra e lingua e la sensazione durò parecchio tempo. Al momento non ci fece caso, anzi pensò di avere toccato qualcuna delle innumerevoli piante velenose della giungla, solo più tardi si rese conto che c’era una curiosa associazione tra la sensazione di intorpidimento che aveva provato e il contatto con il pitohui così, quanto l’anno successivo tornò in Nuova Guinea, decise di andare a fondo della questione e iniziò a esaminare i pitoui catturati arrivando alla conclusione che effettivamente, c’era una correlazione diretta tra il piumaggio dell’uccello e la sensazione di torpore. Pur essendo il pitohui ben noto alla scienza occidentale, in quanto comunissimo in Papuasia, nessuno si era ancora reso conto che avesse le penne velenose, soprattutto perché nessuno si era mai sognato di sentire il parere dei nativi, quindi con la sua scoperta, Jack si guadagnò una pubblicazione su Science ed iniziò così la sua “carriera” di specialista in volatili velenosi.
Infatti quello che ho raccontato è solo l’inizio, Jack continuò con le ricerche. Il primo passo fu quello di capire di che tossina si trattasse e ricevette un grosso aiuto da John Daly, un famoso e riconosciuto ricercatore dell’Istituto Nazionale per la Salute che si era a lungo occupato della tossicità di alcune rane da cui gli indios Choco dell’ Amazzonia colombiana ricavano il veleno per le frecce, fu proprio John a fare le analisi del caso scoprendo che quella delle ali dei pitohui è la batracotossina, di cui basta pochissimo per uccidere una persona, la stessa sostanza letale presente nelle rane.
Dopo questa rivelazione, proseguendo con le sue ricerche, Jack scoprì che in Papua Nuova Guinea di pitohui velenosi ce ne sono tante altre specie, ma non solo, leggendo un trattato “ornito-antropologico”, Birds of My Kalam Country, a proposito delle conoscenze tribali del popolo Kalam sugli uccelli locali, venne a sapere che il pitohui, non era l’unico tipo di uccello velenoso della Nuova Guinea. La curiosità e lo spirito avventuroso di Jack lo spinse a recarsi nella Valle di Kaironk dove vivono i Kalam e, seguendo le loro direttive, Jack scalò i monti nebbiosi della valle dove trovò un altro tipo di uccello, non imparentato col pitohui, ma altrettanto velenoso perché dotato dello stesso potente veleno. Il nome del volatile è “ifrita dal dorso blu” chiamato dai nativi “slek-yakt”, che significa “uccello amaro” perché i Kalam pensano che un solo assaggio delle penne possa essere fatale ad un uomo.
La cosa strana che Jack notò, però, è che la velenosità dei pitohui e degli ifrita variava da luogo a luogo e si trasformava da nulla a letale, ad esempio nel Varirata National Park, starnutiva e gli lacrimavano gli occhi solo a tenere l’animale in mano, poche miglia più’ a nord invece i pitohui non erano per nulla tossici, quindi, andando ancora più a fondo nelle sue ricerche il nostro eroe arrivò alla conclusione che la batracotossina è originariamente derivata da coleotteri appartenenti alla famiglia Merylidae, genere Chorisine, che rappresentano il pasto principale proprio delle rane sud americane e degli uccelli. Si sospetta però che, a sua volta, il coleottero non produca la tossina da solo, ma che la assuma da una pianta di cui si nutre. Una specie di “catena di Sant’Antonio” tossica, praticamente!
Noi ci fermiamo qui con questa strana caccia al tesoro… anzi al veleno! Ma voi potete scoprire il resto e tutti gli approfondimenti cliccando QUI.
Buona lettura dunque, RadioVeg.it sarà il vostro ottimo sottofondo musicale.
Milano, 20/4/2016 – GC