VITTIME DI GUERRA DIMENTICATE: GLI ANIMALI
Il 27 gennaio si commemorano puntualmente le vittime dell’olocausto, il cui dramma non è certo da sminuire. Oltre ai milioni di persone vittime, che hanno perso dignità e vita durante quei grandi omicidi di massa che sono le guerre, vorremmo ricordare il sacrificio degli altrettanti milioni di animali, che nessuno mai ricorda, massacrati dalla follia umana.
Fino alla prima guerra mondiale l’utilizzo di cavalli, asini e muli erano di routine in tutti i conflitti. Trasportavano viveri, armi pesanti, munizioni o i soldati stessi. Gli animali cadevano sotto il fuoco nemico nei campi di battaglia. Esposti a gas tossici o intrappolati nei fili spinati, spesso costituivano il pasto di soldati affamati e disperati. Inconsapevoli di quel che erano chiamati a fare, anche gli animali furono ignari protagonisti e vittime di orrendi e disumani conflitti. Agli uomini, quando venivano feriti, era riservato almeno una parvenza di assistenza, per gli animali invece non era prevista nessuna cura, nessun ospedale di campo. Per quei pochi che sopravvivevano alla guerra, la sorte non era certo migliore. Al ritorno spesso li aspettava il macello.
Si parla di migliaia di cavalli, cani, muli, asini, colombi viaggiatori e tanti altri animali che furono “arruolati” e mandati al fronte insieme ai soldati. Per queste vittime di guerra nessuna commemorazione, per loro nessuna lapide, nessun monumento al milite ignoto.
Tra le vittime del conflitto, non solo di animali da soma, ma anche esseri di altre specie. Ad esempio i cani furono utilizzati in montagna per il traino delle slitte, assoldati come portaordini o destinati alla ricerca di feriti e sbandati. In quasi tutti i film sulla seconda guerra mondiale, si vedono soldati che aizzano cani ringhiosi verso “il nemico”; l’esercito russo pare trasformassero i cani in kamikaze per far saltare in aria i panzer tedeschi. Toglievano alle madri i cuccioli appena svezzati e li abituavano a prendere il cibo da sotto i carri armati. Sul campo di battaglia tenevano i cani a digiuno, li caricavano di esplosivo con un’antenna sul dorso. All’arrivo dei mezzi nemici, rilasciavano i cani che, affamati, correvano sotto i panzer in cerca di cibo, l’antenna strisciava contro la pancia di metallo innescando l’esplosivo. Facile immaginare la fine che facevano cani, carri armati e soldati nemici.
Niente pace neppure per i gatti che venivano usati per sterminare i ratti nelle trincee e per rilevare la presenza dei gas nervini.
Anche il colombo fu molto impiegato nel primo conflitto mondiale per recapitare messaggi. Nel 1914 tutti gli eserciti delle potenze in guerra erano dotati di reparti di colombi viaggiatori con personale specializzato per il loro addestramento. Nessuno poteva competere con un colombo in quanto a senso d’orientamento, affidabilità, velocità e distanze raggiunte in breve tempo. I colombi viaggiatori erano “preziosi” e, per chiunque ne occultasse o ne uccidesse uno, era riservata la punizione pari a quella prevista per chi attentava ad un soldato in divisa.
Era talmente fondamentale il ruolo degli animali in guerra, che gli eserciti che disponevano di più animali da tiro, da soma o da macello avevano le maggiori possibilità di vincere la guerra, anche se il numero di uomini ed armamenti si equivalevano.
Abbiamo parlato della sorte di animali mandati al fronte con i soldati, condividendone la terribile fine, quando la teconologia era ancora primitiva, ma le vittime di guerra continuano ad esistere e sono tutte quelle cavie rinchiuse negli innumerevoli centri di ricerca militari sparsi per il mondo che vengono impiegati per sperimentare e testare le armi chimiche e biologiche destinate ai conflitti.
Di questi poveri esseri se ne sa ancora meno di quelli inviati nei campi di combattimento in passato. Il pensiero va anche a tutti loro.
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Milano, 27/01/2020 – GC