LA PASTA NELLA STORIA: ANEDDOTI
La pasta, in tutte le sue forme, accompagna la nostra cucina sin da tempi remoti, ma è intorno all’anno 1000 che inizia ad essere essiccata e trasportata in nave. Così dalla Sicilia (dove abbiamo le prime testimonianze) raggiunge campania, calabria, sardegna e paesi arabi in primis e poi la liguria.
Nel 1279 il notaio Ugolino Scarpa, facendo un elenco di ciò che un marinaio genovese, lasciava alla sua morte nella sua povera eredità, descrive in italiano medievale: ''una bariscella plena de maccaroni'', facendo riferimento ad una ''cesta di vermicelli'' (o spaghetti); nel 1244, un medico bergamasco promette ad un lanaiolo di Genova che l'avrebbe guarito da un'infermità alla bocca se egli non avesse mangiato né carne, né frutta, né cavoli, né pasta, scrivendo testualmente in un latino volgare "… et non debae comedare aliquo frutamine, neque de carne bovina, nec de sicca, neque de pasta lissa, nec de caulis..'', vietandogli appunto di mangiare, tra altri alimenti, anche la pasta; altro aneddoto è del 1221 presente in una ''cronica'' di Fra' Salirnbene da Parma, che parlando di un frate grosso e corpulento, tale Giovanni da Ravenna, annota: “Non vidi mai nessuno che come esso si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio”; ed ancora Jacopone Da Todi, che nel 1230, in una sua lettera al Papa, parla e descrive ampiamente i ''maccaroni'', trattandoli come se fossero un oggetto di piacere sublime ed ultraterreno.
Nel 1554 sbarcava in Italia dall’America centrale il pomodoro che durante il 1600 raggiunse la fama che gli permise di conquistare la Pasta
Nel 1500 nacquero i pastai, la categoria di professionisti addetti alla produzione e al commercio. Chi vendeva la pasta e non faceva parte della suddetta corporazione era severamente punito con galera e punizioni corporali.
Fino all’avvento delle meccaniche idrauliche l’impasto di acqua e semola di grano duro veniva fatto con i piedi.
Più vicino ai nostri tempi, Marinetti, artista del movimento futurista, sparò contro un piatto di spaghetti per promuoverne l’abolizione in quanto era “un’assurda religione gastronomica italiana”. Si ricredette nel 1936 quando venne fotografato mentre se ne mangiava un’abbondante porzione.
Monia Caramma |